U N B U O N C L I M A
A Z I E N D A L E È
G A R A N Z I A D I
P R O D U T T I V I T À
Come deve essere un’organizzazione “positiva”?
di Canzio Panzavolta
Il quadro di riferimento
È indispensabile cominciare con il condividere un punto di vista preciso su come pensiamo che siano fatte le organizzazioni e cosa vogliamo ottenere dai collaboratori. In altre parole, se siamo tutti d’accordo sul fatto che occorra migliorare il clima aziendale (positivo è ovviamente meglio che negativo), dobbiamo anche dirci cosa intendiamo per clima aziendale positivo.
In sintesi, come deve essere un’organizzazione “positiva”? Cosa ci aspettiamo dai collaboratori? Le persone che lavorano con noi devono essere motivate, tranquille, soddisfatte, sotto pressione, sempre pungolate, autonome, dotate di spirito di iniziativa, ubbidienti, disciplinate? È chiaro che alcuni aggettivi sono in contrasto con altri e il concetto è complesso; inoltre la stessa interpretazione di queste parole, che sono astratte, lascia spazio a fraintendimenti e a discussioni infinite.
Lo stesso concetto di organizzazione non è tanto facile da definire. Colpisce la slide di apertura di un seminario di Tom Peters, guru americano dell’organizzazione, che si presenta così:
“LE ORGANIZZAZIONI NON ESISTONO ... VERO?”.
In effetti l’organizzazione non è facilmente codificabile: non esiste la ricetta buona per tutti. Nel progettare un’organizzazione bisogna tenere conto del contesto in cui operiamo, delle persone che ci sono, della cultura del settore, della storia dell’azienda e di tanti altri fattori. Troppo spesso i “tecnici” dell’organizzazione hanno in mente un modello manageriale e applicano quello, perché pensano che andrà benissimo, come da manuale. O ancora si applica l’idea di fare come si è sempre fatto, perché se è andato bene in passato, o in altre esperienze, andrà bene anche qui e adesso.
È interessante parlare della forma dell’acqua (!) per definire le organizzazioni.
L'acqua, ha varie caratteristiche comuni ad altri elementi. E' possibile misurare la sua temperatura, il colore, il peso. E la forma? La forma no, ogni volta che si tenta di misurare la sua forma con un qualsiasi strumento (un recipiente) non la si misura, gliela si dà.
L'organizzazione aziendale ha una caratteristica simile. Essa non è un oggetto, come un motore o un orologio, progettati da qualcuno a tavolino, con le loro dimensioni, misurabili da chiunque ed in qualsiasi contesto.
L'organizzazione è un "oggetto quantistico" al quale il management cerca di imporre un suo "progetto, una sua visione, una sua forma, senza mai riuscirci. O meglio, quando ci riesce il risultato è inaspettato e, molte volte, per nulla gradito.
Un caso esemplare e cristallino viene illustrato in un recente articolo di "Vanity Fair" su Microsoft e il suo "Ranking system" per classificare i dipendenti.
In MICROSOFT ogni unità dell'azienda, più o meno dal 2000 a questa parte, deve classificare i dipendenti secondo una graduatoria in virtù della quale alla fine ci dovranno essere i migliori, i mediocri e gli "scadenti". Indipendentemente dalle capacità di ogni singolo membro del gruppo; cioè in ogni gruppo devono esserci persone scadenti.
Cosa ha generato questo sistema di "misura", che aveva l'obiettivo di creare un'azienda eccellente? L'organizzazione, come l'acqua, ha reagito adattandosi alla forma che gli si voleva dare. Sono le stesse testimonianze dei dipendenti che ne rendono conto: ognuno si focalizza nel competere con gli altri invece che con le altre aziende sul mercato. Inoltre non è più importante essere un bravo tecnico, ma sapersi relazionare bene con il proprio capo, che da i giudizi, e con i capi degli altri gruppi, in quanto ogni singola classifica deve poi essere "fusa" con le altre.
Il risultato, perché è ovvio che il comportamento dell'organizzazione influenza alla fine, ma poi non tanto "alla fine", le prestazioni aziendali (fatturato, cassa, margini e valore dell'azione in borsa) è che il decennio passato è giudicato da tutti come il "decennio perso" della Microsoft, ironicamente "low - performer" in ogni nuovo mercato che si è aperto dal 2000 in poi.
L’organizzazione non è una macchina.
L'organizzazione non è una macchina e, affinché tale affermazione non rimanga retorica, bisogna adottare comportamenti conseguenti ad essa. Rimanendo al caso in questione, l'organizzazione non si "misura", perché l'atto della misura il risultato lo crea e le conseguenze sono, come ha dimostrato il caso Microsoft, devastanti e visibili in ritardo.
Bisogna dotarsi di una nuova "vista", basata su conoscenze più adeguate alla complessità dell' "oggetto organizzativo" e che possano ispirare interventi radicalmente diversi e, questa volta, efficaci.
Il rischio è di convincersi che l'acqua ha la forma del bicchiere, e scoprire, con danno e in ritardo, che così non è perché quella forma gliela abbiamo data noi. Lo sviluppo, il cambiamento organizzativo ha un nemico molto subdolo: la resistenza al cambiamento. E’ un nemico che sembra minare la strada a quei grandi processi di ristrutturazione organizzativa, che invece sono indispensabili per garantire un futuro al nostro sistema economico.
La gestione delle risorse umane vive in bilico tra le dichiarazioni e le intenzioni e le pratiche concrete: in altre parole non si riesce a far coincidere la teoria con la pratica: quello che si dice e si annuncia e quello che si fa.
C’è la crisi e si tende sempre più a non considerare le strade complesse, che vanno dalla formazione alla motivazione delle persone, perché è necessario ridurre i costi. Vanno di moda le Cassandre che fanno vedere la catastrofe imminente e il ritornello è che, anche se in altri tempi sarebbe sbagliato, adesso bisogna fare in questo modo. Si tratta di un quadro in cui prevalgono sempre di più le tentazioni dirigistiche: si individua il cambiamento da attuare, lo si comunica più o meno bene e poi lo si fa realizzare senza tanti psicologismi e sociologismi da lasciare a tempi migliori. Ma tutto questo evidentemente non funziona!
È dagli anni ‘80 che la soddisfazione dei lavoratori è considerata un fattore determinante del successo delle organizzazioni. Sono molti i lavori che suggeriscono vie di miglioramento della performance attraverso un miglioramento del clima aziendale. Le cose da fare per avere dipendenti più soddisfatti e quindi più produttivi, non sono certo da ricercare in complicate e stravaganti tecniche di team-building, ma piuttosto in un atteggiamento da tenere nei confronti delle persone che lavorano con noi.
Prima ancora occorre definire se veramente siamo convinti che persone più soddisfatte (“felici”) sono più produttive per l’azienda. Insistiamo su questo punto perché, se da un lato, a tavolino, tutti sono d’accordo con questo principio, dall’altro, nella pratica quotidiana, l’atteggiamento più diffuso è il seguente:
i dipendenti sono tutti pronti a fregarti e, se vuoi ottenere qualcosa, li devi tenere sotto pressione, mai andare incontro alle loro esigenze per non creare precedenti, creare regolamenti ferrei in modo che nessuno possa eccepire niente, evitare che le persone si allarghino, magari tranne pochi “fidati”: devono capire chi comanda e fare poche storie.
Una formulazione così diretta e brutale la si incontra raramente, ma il comportamento conseguente è molto diffuso nelle organizzazioni. È per questo che non bisogna dare per scontato il concetto di clima aziendale, perché il senso comune sull’argomento è sempre in bilico fra il concetto positivo e “buonista” e la prassi autoritaria, perché “la realtà è un’altra cosa”.
Impegnarsi in iniziative meramente di facciata o di marketing interno, per il clima aziendale, avrebbe sicuramente un effetto boomerang, come sempre quando le azioni concrete non corrispondono agli annunci. Per fare una similitudine è come nel caso in cui un venditore promette quello che l’azienda non può poi mantenere.
Il primo luogo in cui definire l’atteggiamento verso i dipendenti è quindi l’alta direzione; chiarito questo punto, si può procedere alle azioni di miglioramento.
Sulla base degli studi di Herzberg, per approfondire le modalità con cui i bisogni di stima e di autorealizzazione si sviluppano nelle persone, possiamo affermare esistono due tipi di fattori che determinano la insoddisfazione e la soddisfazione del lavoratore.
I primi sono detti fattori igienici: sono fattori che non motivano ma, se non vengono soddisfatti, producono malcontento ed insoddisfazione. Rientrano fra questi per esempio:
Supervisione da parte dei superiori
Le politiche delle risorse umane
Le condizioni di lavoro (orario, riposo settimanale, stipendio)
Le relazioni interpersonali
La sicurezza del lavoro
Il rapporto tra vita professionale e personale (tempo personale).
I secondi sono detti fattori motivanti: sono quei fattori che appagano bisogni superiori e che portano la persona a una maggiore motivazione e produttività sul lavoro. Nel momento in cui non dovessero essere soddisfatti, questi fattori non comportano l'insoddisfazione dell'individuo. Rientrano in questa categoria per esempio:
Il riconoscimento dei risultati raggiunti
La responsabilità
Lavoro qualificante
La crescita professionale
L'avanzamento nella carriera.
La teoria di Herzberg è molto importante per comprendere le relazioni tra il datore di lavoro e i dipendenti, la comprensione reciproca e l'allineamento all'interno del contratto psicologico. La soddisfazione e l'insoddisfazione sul posto di lavoro dipendono da diversi fattori e che non sono semplicemente reazioni opposte agli stessi fattori. Porre rimedio alle cause di insoddisfazione non crea soddisfazione; aggiungere fattori di soddisfazione non elimina l'insoddisfazione.
Fino a che punto il denaro può rientrare tra i fattori motivanti? Herzberg ha riconosciuto la complessità della questione salariale e ha concluso che il denaro non è un fattore motivante. Un aumento salariare avrebbe un effetto palliativo nell'immediato ma, nel medio - lungo termine, l'insoddisfazione o mancata motivazione della persona tornerebbero ai livelli precedenti.
È vero anche che quando le cose vanno complessivamente bene, le persone tendono a soffermarsi sugli aspetti positivi mentre, quando le cose vanno male tendono a trovare cause esterne. Inoltre esiste una forte correlazione tra la motivazione sul lavoro e la produttività senza però aver affrontato esplicitamente questo nesso.
La cosa da fare, in primo luogo, è necessario eliminare le insoddisfazioni e, dall'altro, è necessario aiutarli a trovare soddisfazione.
Per eliminare l'insoddisfazione:
• Fissare politiche aziendali semplici e costruttive;
• Fornire strumenti efficaci di supervisione e di sostegno;
• Creare e sostenere una cultura di rispetto per tutti i membri del team;
• Assicurarsi che i salari siano in linea con il Mercato del Lavoro;
• Creare posizioni lavorative con compiti significativi;
• Fornire sicurezza del lavoro.
Non ha senso cercare di motivare le persone fino a quando questi problemi non sono stati risolti.
Per creare soddisfazione:
• Fornire opportunità di realizzazione
• Riconoscere i risultati dei lavoratori (riconoscimenti simbolici e monetari)
• Creazione di obiettivi lavorativi gratificanti che soddisfino le competenze e le capacità
• Delegare il più possibile le responsabilità ai vari membri del team
• Fornire l'opportunità di progredire nella società attraverso promozioni interne
• Offrire piani di formazione e di sviluppo, in modo che le persone possano raggiungere le posizioni alle quali ambiscono all'interno dell'azienda.
Il problema principale è che molti datori di lavoro utilizzano i fattori di igiene, come strumenti motivazionali quando in realtà, al di là del brevissimo termine, non hanno alcun effetto sulla motivazione del personale.
Come migliorare il clima aziendale.
Ciò che rende i lavoratori più partecipi alla vita delle aziende e soddisfatti del proprio lavoro, ruota intorno alla parola chiave “COINVOLGIMENTO”.
Come conseguenza, occorre individuare quali sono gli elementi che possono coinvolgere le persone verso i risultati aziendali.
Ci sono quattro buone prassi individuate dagli studiosi delle organizzazioni, che sono in grado di aumentare la soddisfazione e la motivazione del team, si tratta di meccanismi che promuovono le condizioni idonee al coinvolgimento dei lavoratori:
1. Discrezionalità decisionale
2. Condivisione delle informazioni
3. Meno comportamenti incivili (+ cortesia + rispetto)
4. Feedback sulle performance
Queste cose non richiedono grossi sforzi o investimenti. Richiedono la presenza di leader disposti a responsabilizzare i collaboratori e a dare l’esempio. Inoltre non se ne possono scegliere uno o due dal menù: i meccanismi si rinforzano a vicenda.
Di seguito mostriamo quattro tavole, non esaustive, con alcuni punti che possono essere messi in campo dall’azienda per sviluppare i quattro punti.
1) Discrezionalità Decisionale
Lasciar decidere autonomamente
Assegnare budget per risolvere i problemi
Non scavalcare mai i responsabili
Assegnare obiettivi e non compiti
Descrivere il ruolo e non i dettagli di comportamento
Condividere regole del gioco
Premiare l’autonomia
2) Condivisione delle informazioni
Chiarire come si integra il lavoro di ciascuno nel processo
Informare sugli obiettivi aziendali
Dare le conoscenze che servono per risolvere i problemi
Tenere conto che le persone sono in grado di comprendere le strategie se queste sono spiegate correttamente
Riunioni periodiche “significative”
3) Comportamenti “cortesi”
I costi dell’inciviltà sono molto alti
Alcune citazioni: “il lavoro fa schifo” - “non fare in ritardo come al solito” - “se volessi sapere quello che pensi te lo chiederei”- “non sei pagato per pensare” - ...
L’inciviltà impedisce alle persone di coinvolgersi
I dipendenti prima o poi, come possono, si vendicano
4) Feedback
Sia positivi, sia negativi
Giudicare il lavoro, la situazione e mai le persone
Approfittare per verificare il bisogno di apprendimento o di collaborazione
Dare feedback, ma anche chiedere feedback.
In sintesi questi sono i punti che si dovrebbero sviluppare. Come si vede non si tratta di iniziative costose o di investimenti importanti.
Però non inganni l’apparente semplicità delle cose proposte: in realtà le organizzazioni che riescono a realizzare un clima coinvolgente e corroborante sono poche.
Spesso ci riescono per un po’, poi si perdono dietro derive burocratiche o meccanicistiche. L’impegno è notevole e più complesso di quello che può apparire.
Per realizzarlo serve un’attenzione che, in pratica, si può sostanziare nella individuazione di una funzione “Gestione Risorse Umane”, che abbia come scopo la “manutenzione” della risorsa più importante dell’azienda, anzi, dell’unica risorsa in grado di fare la differenza: la persona che lavora con noi.